Transgender a Londra: proteste per i diritti dopo la sentenza della Corte Suprema

Nei giorni scorsi, Parliament Square, nel cuore di Londra, è stata attraversata da una grande manifestazione in difesa dei diritti delle persone transgender. Migliaia di cittadini si sono riuniti per protestare contro una recente sentenza della Corte Suprema del Regno Unito che, nei fatti, ridefinisce legalmente il concetto di “donna”, limitandolo al sesso biologico.

La decisione, che ha origine da una legge scozzese del 2018 sulla parità di genere nei consigli pubblici, ha scatenato un’ondata di indignazione nel Paese. Secondo la Corte, il certificato di riconoscimento di genere non può sovvertire le definizioni biologiche di maschio e femmina previste dall’Equality Act del 2010. Una posizione che, seppur accompagnata dalla promessa di tutela contro la discriminazione, rischia di escludere le persone transgender da spazi e diritti pensati per le donne: dai servizi sanitari ai bagni pubblici, fino allo sport.

Sono stata a Londra in quei giorni, per un breve viaggio con la mia famiglia. Non immaginavo di trovarmi, all’improvviso, immersa in una protesta così densa di significato. Comunicare, oggi, significa anche scegliere da che parte stare. Raccontare, in modo onesto e consapevole, ciò che accade quando il diritto entra in conflitto con l’identità.

Ci sono aspetti, come quello delle competizioni sportive, che meritano attenzione e rispetto per l’equilibrio e la sicurezza. Ma questa attenzione non può tradursi in esclusione. Il rispetto per le persone trans non è un’opzione né una gentile concessione: è un dovere civile.

Questa vicenda britannica ci interroga anche da lontano. Ci costringe a domandarci cosa significhi davvero riconoscere un’identità. Non solo a livello giuridico, ma sociale, culturale, umano. E ci invita a considerare la ristorazione, la scuola, i media e ogni altro spazio pubblico come strumenti per far emergere e valorizzare ciò che per troppo tempo è rimasto invisibile.

In quella piazza ho visto il volto concreto di una battaglia che troppo spesso viene raccontata con toni ideologici o superficialità. Ho visto persone chiedere solo una cosa: essere riconosciute.

È stato un viaggio che mi ha lasciato molto più di quanto avevo previsto. Una lezione sul valore dell’identità e sul potere delle parole. Perché, come professionista e come donna, so bene che ogni termine scelto o evitato può fare la differenza tra esclusione e appartenenza.

Ritengo che rispettare l’identità e la sessualità di ogni persona non significhi aderire a un’ideologia, ma riconoscere il diritto più essenziale che abbiamo: essere visti, ascoltati e accettati per ciò che siamo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *


Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.