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Violenza femminile e riscatto: vi racconto i due vincitori del premio Nobel per la Pace

  • Ottobre 9, 2018

La rubrica di questa settimana la dedichiamo a due persone speciali: Denis Mukwege e Nadia Murad, vincitori pochi giorni fa del premio Nobel per la Pace 2018. Entrambi sono stati premiati a Oslo per i loro sforzi nel porre fine all’uso della violenza sessuale come arma di guerra e conflitto armato.

Il mondo femminile è un mondo davvero complesso, può essere il centro della felicità umana, frutto di miracoli viventi ma può anche rappresentare una tra le più grandi violenze che l’essere umano abbia conosciuto. Nessuno mai potrà pienamente raccontare questo mondo, sono le persone che riescono a renderlo speciale ed in questo caso a salvarlo e tutelarlo combattendo contro ingiustizie, cattiveria e avversità.

Denis Mukwege, 63 anni, è un ginecologo congolese, fondatore dell’Ospedale Panzi di Bukavu. Grazie al suo lavoro ha curato migliaia di donne vittime di violenza sessuale ed è riconosciuto in tutto il mondo come uno dei più grandi esperti nell’intervenire sugli organi interni danneggiati da violenze sessuali.

L’Ospedale Panzi è specializzato nel trattare le donne, spesso bambine, vittime di stupri di gruppo perpetrati da soldati e miliziani, anche bambini, costretti dai signori della guerra a rompere il legame familiare violentando la madre o le sorelle. Secondo un rapporto dell’American Journal of Public Health, durante i conflitti del Congo, venivano violentate quattro donne ogni cinque minuti, un ritmo feroce che ha lasciato un’ulteriore scia di patologie, dall’Aids all’impossibilità di procreare, oltre alla gogna sociale delle vittime. Mukwege è il terzo di nove figli: ha studiato medicina in Burundi, si è formato nel locale ospedale e si è poi trasferito in Francia, dove si è specializzato in ginecologia presso l’Università di Angers. Nel settembre del 2012, in un discorso alle Nazioni Unite, denunciò l’impunità per gli stupri di massa compiuti nel suo Paese e criticò il governo congolese così come quelli di altri Paesi per non fare abbastanza contro quella piaga. Il 25 ottobre dello stesso anno, quattro uomini armati penetrarono in casa sua cercando di assassinarlo, ma Mukwege riuscì miracolosamente a fuggire. Se ne andò in esilio in Europa ma durante la sua assenza l’ospedale Panzi non riusciva ad andare avanti. Tornò a Bukavu nel gennaio del 2013: la sua gente si fece trovare schierata lungo tutte le 20 miglia dall’aeroporto alla città per dargli il bentornato a casa.

 

Nadia Murad è una giovane ragazza di 25 anni diventata, a suo discapito, simbolo delle violenze sessuali perpetrate dal Califfato. In una recente biografia, edita anche da Mondadori, Nadia racconta le sofferenze subite al limite del genocidio nella sua comunità, gli yazidi, considerati dal Califfato adoratori del diavolo.

Nel 2014 i miliziani dell’Isis hanno saccheggiato il villaggio dove abitava nell’Iraq settentrionale, uccidento gli uomini, facendo scomparire le donne anziane e rapendo lei ed altre ragazze donne. Insieme ad altre cinquemila tra donne e bambine, è diventata una schiava, comprata e venduta più volte dai combattenti dello Stato islamico, e ha subito ogni tipo di abuso fisico, sessuale e psicologico prima di riuscire a scappare nel novembre del 2014 dal posto in cui veniva tenuta prigioniera. Aveva 21 anni quando fu catturata dai miliziani dell’Isis nel 2014.  Dopo mesi di torture fisiche e psicologiche, la giovane yazida è riuscita a fuggire e salvarsi.

 

 

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